L'acqua, qui, si è fatta strada nel corpo cedevole del tufo, ha scavato anfratti e discontinuità, ha denudato la pietra, denunciandone l'uniformità fittizia, e ne ha svelato il carattere di materia residuale, saldata dal sedimentarsi instancabile del tempo. Paesaggio brullo, aspro, profondamente segnato dall'erosione, la gravina appare un continuo susseguirsi di antri ombrosi, pareti precipiti, superfici corrose e irregolari, un'alternanza dissonante di pieni e di vuoti.
Gravina di Matera con la neve - 2012
Ma, a ben guardare, la profonda slabbratura aperta dal torrente Gravina è assai più di un semplice episodio geografico; è, anzi, soprattutto un luogo mentale, dove è caduto (o forse non è mai esistito) quel diaframma fra le natura e l'umano che di solito costituisce il fondamento indispensabile alla costruzione di ogni edificio sociale. Ed è per questo che, anche oggi, lo sguardo che indugia sulle pareti scabre della gravina stabilisce con la natura un contatto diretto, primitivo, nel senso di non mediato da interventi che ne attenuino il carattere di sostanziale estraneità alle epoche della storia e della civiltà umana.
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